Ciao Guys,
E’ passata di nuovo una vita dall’ultima newsletter, di mezzo ci sono stati il Portogallo, Napoli, Socotra, i Gitani di Saintes Maries de la Mer e poi c’è stato il Cammino di Santiago—il secondo—e domani sono già in ripartenza: destinazione la mia amata Asia.
Il tempo lo misuro in luoghi ormai da anni, e, con sempre più chilometri dentro lo zaino, la vita mi sembra scorrere sempre più veloce, sempre più lontana da dove ero—o da chi ero—quando ho iniziato a viaggiare.
Oggi vi voglio parlare proprio di velocità e distanza.
Vorrei raccontarvi del cammino, di quei 900km camminati dentro e fuori sotto cieli aperti e immensi, della potenza alchemica che ha avuto su di me; è da quando sono tornata che provo a mettere insieme un racconto concreto da fare su Instagram, ma non sono ancora pronta, non ho ancora trovato le parole giuste, perché le parole giuste hanno un tempo tutto loro: richiedono un periodo di incubazione, di riflessione, di assimilazione di tutto quel che è stato, di tutto quello che si è visto, vissuto e sentito. Il tempo della “creazione-che-lascia-qualcosa" rema contro la corrente dei ritmi da produzione di massa richiesti dai social, ritmi a cui io non riesco a stare dietro.
Produzione continua, immediatezza e rapidità raramente portano oltre la superficie e stare in superficie a me non interessa più.
Mi sento sempre meno appartenente a questa cultura dell’istantaneità, a questa società che ci spinge costantemente a venerare il culto del fare e dell’apparire, imprigionandoci in nuove schiavitù. Ma io godo della benedizione di un’anima libera e ho deciso molto tempo fa che al fare preferisco l’essere, e a questo mi sto dedicando ultimamente. Ho capito che tra le mie moltitudini sono sopratutto un’esploratrice di vita: voglio indagare gli abissi dell’essere, scavare le profondità dell’esistenza, sondare le infinite sfumature della realtà. Ora mi è chiaro.
Quest’ultimo cammino—di cui prometto vi parlerò a tempo debito—è stato un acceleratore di chiarezza e consapevolezza, ma anche un esercizio continuo di ascolto e resa del controllo. Mi ha insegnato tante lezioni: a farsi bastare l’essenziale, a preservare le energie, a godere dell’adesso, a fidarsi del processo lasciando che sia. Mi ha insegnato che sono forte davvero, a rispettarmi davvero, a volermi bene davvero…credevo di volermi già bene, ma ho capito che ci sono tante dimensioni diverse della vita in cui bisogna volersi bene, e fino a quando non le si guarisce tutte rimane solo un volersi bene a metà.
Ma sapete qual’è stata la lezione più grande che ho imparato?
L'indispensabilità del rallentare. Non il passo ma la vita.
Il mondo in cui viviamo corre sempre più veloce e più cerchiamo di stare al passo dei suoi ritmi folli più prendiamo le distanze dall’essere, soffocati dal fare, derubati dall’apparire.
Ma quando ti sposti a piedi, piano o veloce, ma comunque poco a poco avanti con costanza—e spesso con dolore—quando passi le giornate camminando sotto quei cieli aperti e immensi, percorrendo la natura e attraversando la vita che scorre nei villaggi e nelle città, seguendo il TUO ritmo, lì inizia a succedere una magia: tempo e spazio si fondono e diventano un propulsore di adesso, di quel famoso qui e ora con cui non smetterò mai di stressarvi, che altro non è che? Essere. Essere senza condizionamenti.
E quando riesci a stare in un susseguirsi di adesso la vita e la realtà prendono sembianze diverse, hanno un sapore diverso: più pulito, più vero, più tuo. È il sapore della libertà.
La libertà è un percorso, un cammino, e si può camminare nei modi più disparati, in luoghi infiniti. Santiago in fondo è solo un nome, il cammino è la vera destinazione. La libertà è una conquista che si fa strada facendo, e va conquistata prima di tutto dentro di sé. Il fuori poi cambia di conseguenza. Non è facile certo, ma è possibile, e spero che sempre più persone riescano ad assaporarla quella libertà, perché questo mondo sempre più volto al controllo delle menti ha un estremo bisogno di anime libere che fanno pensieri liberi.
Il cammino mi ha fatto anche un’altro grande regalo. Erano le sei di una mattina lenta a circa metà strada, il sole non era ancora sorto, l’aria era impregnata dei tigli galiziani e la colonna sonora un mix tra il canto degli uccellini e il rumore dei miei walking-sticks che grattavano l’asfalto. Camminavo mezza addormentata—la mattina non è il mio momento migliore—e con la luna mezza storta quando di colpo, dal nulla, come se un fulmine mi avesse trafitta, dopo settimane di tormento e disperazione per il nuovo libro, in una frazione di secondo come confezionata in una pillola: BUM"! l’idea che mi serviva per unire tutti i pezzi del puzzle mi è arrivata dentro…più che in testa nelle viscere. Non ci potevo credere. Big Magic!
Non posso raccontarvi molto di questa idea arrivata per magia, ma posso dirvi che questo nuovo libro avrà molto a che fare con la libertà, così come avrà molto a che fare col corpo, la mente e lo spirito, e, ovviamente, col viaggio. Un viaggio nel mondo e verso di sé, un viaggio iniziato già da tempo e che nei prossimi mesi mi porterà a “sperimentare” tutta una serie di esperienze. Quella che sto andando a fare in Asia è una di quelle.
Questa volta non è un impresa fisica però: sul cammino ho fronteggiato i limiti del corpo, scontrandomici e superandoli, capendo di essere molto più forte di quel che pensavo. Ora voglio capire, testare, piegare e superare i limiti della mente.
Quindi la settimana prossima vado in Thailandia a chiudermi in un monastero buddista per 10 giorni per un ritiro di Vipassana. Il che vuol dire che per dieci giorni non potrò fare altro che meditare: non potrò parlare, leggere, scrivere, ascoltare musica, usare il telefono o il pc (e questo come potete immaginare sarà una delle sfide più grandi). Tra gli altri divieti durante il ritiro bisogna astenersi dal uccidere esseri viventi—incluse le zanzare—e dal rubare, niente sesso—nè con gli altri nè con se stessi—niente profumi, alcohol, droghe o tabacco (quest’ultimo punto rende il tutto molto più a rischio sbrocco per me 😅). In sintesi non potrò fare NIENTE che distragga dall’essere, e dallo stare con la mente. Un rallentare estremo insomma.
La vita nel monastero è dura: ci si sveglia alle 4.30 e si va a dormire alle 9 di sera, su un materasso basso e duro. Gli unici due pasti del giorno sono la colazione alle 7 e il pranzo alle 11, poi a digiuno fino al giorno seguente. Si medita per 6/8 ore al giorno, ogni mattina l’insegnante—un monaco buddhista—fa una lezione sui principi buddisti e la sera c’è un ora di “chanting”, canti devozionali in Pali (una lingua antica indiana). Il tutto vestiti rigorosamente di bianco.
Non sono buddista, non sono religiosa, ma da anni studio per conto mio le filosofie orientali e sto facendo un percorso spirituale tutto mio un po’ atipico diciamo—anarchico, mistico e psichedelico—con influenze da tantissime culture e tradizioni diverse. La spiritualità è parte integrante della mia vita e del mio approccio alla vita. La meditazione è alla base di questo percorso.
La Vipassana è una tecnica di meditazione che ha oltre 2000anni, viene dall’India e ha radici nel Buddhismo Theravada. Vipassana viene dal sanscrito e significa più o meno “vedere chiaramente/profondamente” o “vedere la vera natura della realtà”. E dopo giorni di silenzio—la lingua dell’anima—passati a meditare senza distrazioni si inizia a fare proprio questo: vedere la realtà per quello che è, senza tutti gli strati di filtri che inevitabilmente ci mettiamo sopra: desideri aspettative, attaccamenti, condizionamenti, senso di separazione (dualismo), ignoranza. Gli indiani chiamano questo “filtrare” maya, che vuol dire illusione.
E, effettivamente, se ci pensate, ognuno di noi vive in una sorta d’illusione. Quanti strati di filtri hanno le nostre vite? E se ognuno ha i propri filtri—filtri diversi in base al vissuto personale, che è unico—quante realtà diverse esistono?
Ma quando riesci a togliere questi filtri e vedi la realtà per quello che è—impermanente, mutabile, deperibile e in continuo cambiamento—tutto cambia, tu cambi, la vita cambia.
Dopo anni che fare Vipassana era sulla mia lista di “experiences to live” ho scelto di farla adesso—motivata dalla ricerca per questo nuovo libro—perché è finalmente ora: sono pronta. Negli anni ho conquistato la mia libertà su tutti i fronti (interiore, economica, di movimento, temporale) e sono diventata abbastanza capace di controllare i miei pensieri—basta imparare ad osservarli in realtà—ma ora vorrei andare un po’ più in là, fare un piccolo salto: voglio capire come ci si sente a non avere distrazioni, a provare davvero la noia, a stare in silenzio e di fronte alla mia mente senza nessuna via di fuga. Voglio smascherare la sua vera natura.
Noi non siamo la nostra mente, siamo altro—anima?—la mente, come il corpo, è solo una parte di noi: ce l’abbiamo ma non siamo lei. Per questo è importante imparare a gestirla, domarla, direzionarla…altrimenti sarà lei a direzionare noi e la nostra vita. E, considerando che la mente e’ spesso una gran bugiarda, ed è pure migliore amica dell’Ego, della Paura e di tutte quelle cose basse che ci portano a fare esperienza di quello che i buddhisti chiamano duhkah (sofferenza), se si vuole vivere sereni—e liberi—è fondamentale imparare a metterla al guinzaglio quell’illusionista.
Ovviamente ho una paura fottuta, ma come sempre nella paura preferisco ficcarmici.
Sarà uno dei viaggi più difficili di sempre, ma non vedo l’ora di vedere dove porterà. Farò del mio meglio per raccontarvelo—seguendo i tempi della “creazione che lascia qualcosa”—sperando che la mia esperienza possa essere utile a qualcun’altro nel proprio cammino verso la libertà.
Love,
—S
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