È passato un anno. Un anno da uno dei giorni più tristi e allo stesso tempo più arricchenti di tutta la vita trascorsa fin ora su questo pianeta, dove il tempo si mangia tutto, ritornandolo al Vuoto da cui quel tutto è apparso. Un anno senza il mio bassotto killer—che poi era il mio migliore amico—dopo averne passati undici insieme, dopo aver vissuto fianco a fianco in due continenti, tre paesi, cinque città, otto appartamenti. Stavo per partire per il Perù quando il suo cuore ha ceduto, è successo all’improvviso, senza preavviso, né il tempo di salutarsi. Mi stavo preparando da un po’ a quel momento, guardando il suo musetto diventare sempre più bianco ogni volta che tornavo a casa dopo un viaggio, ma niente può prepararti davvero a un addio eterno.
Krafen era una salsiccia psicopatica, animalescamente territoriale e brutalmente aggressivo con gli sconosciuti, ma commoventemente affettuoso con chi conosceva, e capace di una dolcezza di cui molti umani non sono dotati. Può suonare orribile, ma credo di non aver mai voluto bene a nessuno, tanto quanto ne ho voluto a lui. Chi non ha mai avuto un animale nella propria vita non può capire fino in fondo la sostanza di cui è fatta quella relazione, così profonda, così semplice nella sua assenza di linguaggio, e permeata da un bene così diverso, così incondizionato rispetto a quello spesso carico di promesse, aspettative e rancori che scorre tra gli esseri umani. Chi ci è passato lo sa: la morte di un animale è dolorosa tanto quella di una persona. Quello strazio l’avevo già vissuto, col mio primo cane, Brioches—ehm, si, lo so, ho una leggera ossessione con i dolci—anche con lui avevo passato più di un decennio, eravamo cresciuti insieme. Quando mi è morto tra le braccia avevo venticinque anni, molta meno strada addosso, molti meno mondi dentro, e molta meno consapevolezza dell’impermanenza di cui è composta l’esistenza. Non so spiegare il dolore che ho provato in quel momento, non avevo gli strumenti nè per descriverlo, nè per capirlo all’epoca, faceva male e basta. Con Krafy però gli strumenti me li sono trovati tra le mani.
Nel momento in cui se ne è andato verso l’Ignoto più ignoto che c’è, una vertigine mi ha tolto la vista, mi è mancata l’aria, poi, come se una botola si fosse aperta sotto ai miei piedi, mi sono sentita cadere dentro quel qualcosa che più temo, e da cui ho passato una vita a scappare: il Vuoto. Qualche mese prima avevo fatto il Vipassana—il ritiro di meditazione di cui avevo parlato qui—e in quei dieci giorni passati a meditare, il Vuoto mi aveva bussato alla mente diverse volte; l’ho evitato finchè non era più possibile farlo, ma ad un certo punto ho dovuto accettare che c’era, che era reale tanto quanto il Tutto, che era dentro di me, parte di me e della vita; perchè in fondo anch’io ero arrivata dal Vuoto e un giorno ci sarei dovuta tornare, come tutti, come qualche mese dopo ci sarebbe tornato Krafy. Meditare dieci ore al giorno per dieci giorni ti cambia prospettiva sul parecchie cose. Non ero ancora pronta a tuffarmi dentro gli abissi del vuoto, ma già accettarne l’esistenza invece che scapparci era un passo avanti.
La meditazione, a differenza di quel che la maggior parte della gente crede da questa parte di mondo, non è una tecnica che serve a ridurre lo stress—anche se in realtà lo riduce—non è nemmeno un esercizio per non pensare: serve a vedere la realtà per quella che è, invece che per come la vorresti; serve a non farsi sopraffare dal sentire; ad agire anziché reagire; a trascendere la mente per arrivare a comprendere la natura della realtà. La meditazione è il passaggio segreto verso il Nirvana, insomma.
Nirvana.
Oltre ad essere il nome di una delle band che ha accompagnato la mia adolescenza, è una di quelle parole immense a cui è difficile dare un senso in poche righe, perchè in quelle sette lettere sono racchiuse tutte le otto-miliardi-di-realtà esistenti, tutte le presunte verità, tutta una filosofia—assai complessa—fatta a scatole cinesi: ne apri una e se ne aprono altre. Una filosofia—che poi è una religione—nata da un uomo che, leggenda narra, si chiamava Siddharta, prima di diventare il Buddha, il “risvegliato”, colui che aveva ottenuto il Nirvana.
Il Buddha non ha mai dato una definizione netta di Nirvana, era sempre un po vago nelle sue spiegazioni, credeva che le parole fossero fuorvianti, limitanti, e che l’unico modo per capire davvero la natura delle cose non fosse tramite il linguaggio, o la comprensione intellettuale, ma tramite l’esperienza diretta. Per questo incoraggiava chi lo ascoltava a dubitare le sue parole, e a andare a scoprire da sé la verità.
“The menu is not the meal”, diceva Alan Watts.
Le parole sono costruzioni simboliche—a volte potenti come incantesimi, e infatti oggi siamo pieni di maghi: si chiamano marketers, spesso sono mascherati da influencers, coach motivazionali, scrittori self help, persino da guru spirituali—le parole sono simboli che noi umani usiamo per dare senso al mondo e per capirci l’un l’altro—spesso senza molto successo—sono rappresentazioni della realtà, ma non sono la realtà stessa. Per questo certe cose sono difficili da descrivere: un conto è descrivere un oggetto, solido, visibile, tangibile, misurabile; un altro è descrivere l’invisibile, l’immisurabile, l’inspiegabile; perchè in quel caso—sopratutto in Occidente—la mente si schianta contro i limiti della razionalità.
Ci sono aspetti della realtà talmente più grandi di noi, da sfuggire al linguaggio e al ragionamento logico: non abbiamo il vocabolario adatto per descrivere la loro potenza, non abbiamo gli strumenti giusti per misurare e spiegare la loro vastità. Indefinibili, inspiegabili, inqualificabili, ineffabili.
Nirvāṇa. Dal sanscrito निर्वाण nir- (senza, fuori, lontano) e dalla radice vāṇa o vā (soffio, soffiare, spirare, estinguere). Ha significati e pronunce leggermente diversi, a seconda di dove la si dice, ma può essere interpretata abbastanza univocamente con "estinzione" o "cessazione del soffio”. Soffio, può essere inteso come il soffio vitale, o la fiamma del desiderio, che—insieme ad ignoranza e odio—secondo il Buddha sono la causa della sofferenza, e la benzina che alimenta il ciclo di nascita-morte-rinascita: il Samsara.
Saṃsāra.
Dal sanscrito संसार , si traduce con “vagare”, “girare” ma anche con “mondo”. Il Samsara è il girare in tondo del mondo. Un ciclo incessante di movimento e cambiamento, dove tutto è impermanente; una ruota della vita che gira senza sosta, continuando a ripetersi: nascita, morte, rinascita, nascita, morte, rinascita, nascita, morte, rinascita. Per l’eternità.
La costante? La sofferenza. Perchè—che si creda o meno alla reincarnazione—tutto al suo interno nasce, cresce, invecchia, marcisce, sparisce. E noi ci soffriamo. Perchè ci attacchiamo alle cose, alle persone, alle idee, all’identità, e— nonostante sotto sotto sappiamo tutti che tutto prima o poi cambia, invecchia, marcisce, sparisce—non riusciamo a lasciarle andare.
Durante il vipassana non sono diventata buddhista, e—sorpresa, sorpresa—non ho raggiunto nessun Nirvana; ma ho fatto pace con l’impermanenza di cui è fatta l’esistenza, imparando ad ammorbidire la presa del controllo, a fare uno sforzo cosciente di lasciar andare le cose per conto loro, trovando timidamente il coraggio di prepararmi a fare davvero i conti col Vuoto; che si è ripresentato in tutta la sua potenza qualche mese dopo, quando il cuore di Krafy ha smesso di battere, di colpo—senza che soffrisse—il giorno prima di partire per il Perù. E quel giorno, per la prima volta, invece di scappare o farmici fagocitare, sono riuscita a guardarci dentro, in tutta quella sua terrificante vastità priva di forma, di suono, di tempo, di luce, di gravità.
E sapete cosa ci ho trovato, lì dentro? Un Amore di cui non mi credevo capace. Così profondo, così maturo, così puro, così onesto. E una gratitudine smisurata per il tempo che abbiamo potuto passare insieme, per aver avuto l’opportunità di essere compagni di vita per undici lunghissimi e incasinatissimi anni.
Ho pianto tutta la notte, ho pianto sul volo per Lima, ho pianto fino a quando si sono esaurite le lacrime, e poi non ho più pianto. Non piango spesso, anzi, succede molto raramente, forse è un effetto collaterale del mio lavoro, un meccanismo per non assorbire la sofferenza di chi racconto, per non soccombere agli orrori nel mondo. Ma oggi, mentre scrivo queste parole, qualche lacrima si fa strada giù per le guance, mentre il cuore è in pace. Tutto passa, la mancanza si attenua e smette di toglierti il fiato e il dolore si trasforma in qualcosa di più saggio, ma per far sì che questa alchimia si compia è fondamentale trovare il coraggio di attraversarlo, di ascoltare le lezioni che ha da insegnarti, e poi, lasciarlo andare. Altrimenti ci si fa solo del male.
L’assenza di Krafen mi ha fatto capire qualcosa in più di cos’è l’Amore—quella parola così carica e piena di mistero, di cui sto ancora cercando di capire il vero significato—e mi ha dato la forza di fare i conti, una volta per tutte, col Vuoto, un Vuoto che sto affrontando pagina dopo pagina nel libro che sto scrivendo. Un libro che ha totalizzato la mia vita dal giorno che mi ha trafitta come un fulmine, una mattina di luglio, mentre camminavo guardando un’alba intrisa d’incanto, sul Cammino di Santiago. Un libro che non volevo scrivere, perchè scriverlo voleva dire fermarsi e affrontare, una volta per tutte, tutto quello che fino a allora non avevo voluto davvero affrontare.
Ma i libri sono creature che han vita propria, non fanno il volere di chi le porta in sè, vogliono solo disperatamente esistere, uscire dal Vuoto per apparire nel mondo. E se non li aiuti a farlo finisce che ti distruggono. E allora l’ho lasciato fare, mi sono messa in pausa la vita, ho smesso di accettare nuovi lavori per dedicargli tutta la mia energia, tutta la mia attenzione, tutto il mio tempo. Non so come sia successo, ma questo libro è diventato più importante di me.
Sono a un po più di metà strada, c’è ancora tanto lavoro da fare, ma per la prima volta non penso al risultato, non mi importa cosa succederà una volta che sarà finito, voglio solo metterlo al mondo. Il resto lo affido al vento.
In Perù, avvolta nel buio della notte, in una capanna circondata dalla giungla, con la voce cantilenante di una sciamana in sottofondo e le molecole di dimetiltriptamina che mi circolavano nelle vene, portandomi in una dimensione tra sogno e realtà, Krafy l’ho rivisto, o forse l’ho solo sentito, non lo so; ma che fosse un allucinazione, una visione, o la mia immaginazione, poco importa, era reale, e da quel giorno lo sento forte e presente dentro di me. È parte di me, lo sarà sempre.
Ma questa è una storia che, se vorrete, leggerete tra le pagine di un libro, che presto esisterà.
Love,
—S
TI È PIACIUTA QUESTA NEWSLETTER?
MANDALA A QUALCUNO O CONDIVIDI UNO SCREENSHOT o UNA CITAZIONE IN UNA STORY SU INSTAGRAM TAGGANDOMI. Ogni condivisione mi aiuta a far arrivare il mio lavoro un po più in là🙏🏻🤍
☕️CHIACCHIERE SULLE ANDE🇵🇪
A dicembre la mia amica italo-peruviana Raquel Koya—da cui ero ospite quando sono stata in Perù l’ultima volta— è in visita in Italia e abbiamo pensato che sarebbe stato bello passare un pomeriggio insieme a voi, davanti a un caffè (che può diventare aperitivo). Faremo una chiacchiera molto informale portandovi nella Valle Sagrado: parleremo della cultura e delle tradizioni Andine, del rapporto e della connessione spirituale con la terra, del ruolo delle piante maestre, della parteria tradizionale, e molto altro. Con questa chiacchiera cercheremo di farvi "uscire dal razionale" per un paio d'ore, aprendo uno spiraglio verso visoni "altre", per avviare un dialogo organico e nutriente🌱
Al momento abbiamo fissato l’appuntamento su Brescia il 14 Dicembre, ma ne stiamo organizzando uno anche su Milano il 15 Dicembre, stiamo ancora cercando il locale, se avete un cafè, un bar o uno spazio per incontri a Milano, o conoscete qualcuno che potrebbe ospitarci scrivetemi in DM su instagram o su telegram
📆 Quando? Sabato14 DICEMBRE
🕣 A che ora? Dalle 16 alle 18
📍 Dove? LA TORRE, via San Faustino 97, BRESCIA
🎟️ Ingresso libero
🗣️ Hosts: Sara Melotti e Raquel Koya
⚠️II locale ha una capienza di 50 persone, e questo tipo di eventi tendono ad andare sold out, perciò vi chiediamo gentilmente di iscrivervi solo se avete davvero intenzione di partecipare. Clicca il bottone qui sotto per prenotare uno o più posti ⬇️
🎙️UN PODCAST IN ARRIVO NEL 2025
Non vi posso ancora spoilerare il titolo, nè vi posso svelare troppo sul contenuto, ma dietro le quinte da mesi, oltre alla stesura del libro, sta succedendo qualcosa di magico 🧙♀️. Il progetto è nato da uno dei tanti “sragionamenti” che spesso mi trovo a fare con gli amici quando sono a casa. “Se ci sente qualcuno o ci portano alla neuro o ci arrestano!” scherziamo sempre, ma sotto sotto sappiamo che, oggi più che mai, c’è estremamente bisogno di avere queste conversazioni pubblicamente. E allora, io e un paio di questi amici, ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo messi al lavoro: da maggio settimana dopo setttimana abbiamo pensato, discusso, sragionato fino ad avere le idee chiare, e qualche settimana fa abbiamo registrato tre episodi demo, che useremo per cercare dei finanziamenti e dei produttori che credano in questo progetto tanto quanto ci crediamo noi. Sarà un podcast no-bullshit e senza filtri , dove indagheremo, esploreremo e cercheremo risposte ai misteri dell’esistenza e alle domande che accompagnano l’uomo dalla notte dei tempi, con la speranza di offrire nuove prospettive. Spero di potervi raccontare tutto a breve 🤞
🌎VIAGGI DI GRUPPO
Il viaggio in VIETNAM di capodanno purtroppo è SOLD OUT! i prossimi viaggi che organizzerò saranno ad Agosto, sto ancora scegliendo le mete ma al momento MONGOLIA, CINA, BRASILE e MADAGASCAR sono nei miei pensieri. Se volete ricevere i programmi non appena sarà tutto pronto iscrivetevi alla waiting list.
LAST BUT NOT LEAST, PER LA RUBRICA
🫂AMICI BELLI CHE FANNO COSE BELLE
Se avete seguito le mie avventure nell’ultimo anno avrete visto che l’India ha portato nella mia vita delle persone che ora hanno un posto nel mio cuore.
I primi sono Giada e Stefano di Samsararoads.
Stefano dopo sette anni di durissimo lavoro, e cinque ristesure (un pazzo!) sta per mettere "nel mondo" la sua creatura. A breve pubblicherà il suo primo romanzo: L' EGO MUORE URLANDO, una storia lunga—divisa in due volumi— e che contiene un mondo, ambientata in India, dove lui vive da sette anni.
📚Domani (Il 15 novembre) inizia la campagna di pre-order, vi invito a visitare la sua pagina per scoprire se il libro fa per voi, io non vedo l’ora di leggerlo!
👗Giada invece quest’anno ha lanciato Binamirci, il suo brand d’abbiggliamento, ovviamente made in india, with love! A breve uscirà la seconda collezione, e farà un evento per presentarla a Milano il 7 (ci sono anch’io) e l’8 Dicembre, a Santeria Paladini 8. Se sentite il richiamo dell’india passate a fare un giro: cibo indiano, henna, e danza tradizionale indiana.
💍La seconda è Sara Ji, anche lei vive in india e è un’artista e silversmither che fa dei gioielli bellissimi che potete trovare sul sito
PER OGGI PASSO E CHIUDO, A PRESTO FOLKS 🫶
Se con il mio lavoro o le mie parole ti ho dato un po di ispirazione, sollievo, compagnia, se ti fatto sentire qualcosa di bello, o strappato una lacrima o un sorriso, puoi ricambiare lo scambio scegliendo di sostenere il mio lavoro con un piccolo contributo, cliccando il bottone qui sotto. GRAZIE 💛